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LA MIA ESPERIENZA DI VOLONTARIATO EN CINA

by Giulia Gasparri

 “Maestra, svegliati! Vieni a giocare con noi”. Svegliata di soprassalto, prendo il telefono per guardare l’ora pensando di essere in ritardo per la lezione; sono le 6:30 del mattino. Cosa ci fanno i bambini già a scuola, mi chiedo mentre mi rigiro sulla tavola di legno che da quasi due giorni è diventata il mio letto. Nel girarmi, provo un forte dolore alla schiena e ai fianchi, così decido di alzarmi. La luce del sole penetra attraverso i numerosi buchi della porta di legno e l’aria è già soffocante come solo una calda giornata nella metropoli più grande del mondo può essere. Ancora in pigiama, apro la porta ai bambini che si fiondano nella mia camera per trovare riparo dal sole. Gli chiedo perché si trovino già a scuola dal momento che le lezioni iniziano alle 8:30 e mi rispondono che, ogni giorno, arrivano così presto perché i loro genitori devono andare a lavoro e non possono accompagnarli più tardi. Gli unici studenti che arrivano poco prima dell’orario delle lezioni sono coloro che vengono a scuola da soli; anche se ha solo 10 anni, Annie prende ogni giorno da sola due autobus per venire a scuola.

La scuola dove ho insegnato a luglio si trova nella periferia di Shanghai, sulla linea 16 della metropolitana, per chi la conosce. Io dormivo nella scuola, in una delle stanze destinate ai professori che desiderano alloggiare lì. Il maestro Luo, ad esempio, mi spiega che gli affitti sono troppo alti Shanghai ed è una fortuna per lui poter vivere lì. Costruita in cemento, di colore grigio e verde, la scuola è l’unico edificio vero e proprio sulla strada. Attorno ci sono case diroccate, capanne e coltivazioni di funghi. Venditori ambulanti e mendicanti fanno parte della quotidianità in quest’area. 

È questo il paesaggio desolante che vedono ogni giorno gli studenti, ma nonostante ciò entrano a scuola con un sorriso stampato sulla faccia. Andare a scuola è l’unico divertimento che gli viene offerto: i loro genitori lavorano fino a tardi per cercare di dare ai propri figli un futuro migliore e a casa non hanno molti giochi con cui potersi intrattenere. La scuola per loro è tutto e ci vanno volentieri, anche d’estate, perché l’unica alternativa sarebbe rimanere a casa da soli tutto il giorno. Durante il giorno, nonostante il caldo e la stanchezza, non si lamentano mai perché la maggior parte ha voglia di imparare e giocare.

Faccio uscire i bambini dalla stanza, mi vesto e faccio colazione con delle frittelle di verdure, che mi ha comprato il preside della scuola, comprate in una bancarella sulla strada. Puntuale alle 8:30 entro in classe per la mia prima lezione e trovo 14 bambini che mi attendono, curiosi di conoscere questa nuova maestra occidentale.

Mi iniziano a tremare le mani, fa terribilmente caldo in quell’aula, fuori ci sono 40 gradi e 98% di umidità. Gli altri tre volontari non parlano una parola di cinese e il preside si aspetta che io, la più timida tra loro, prenda in mano la situazione. Il preside ci presenta ai bambini e dice che quella sarà la mia classe; essendo l’unica tra i volontari a sapere un po’ di cinese, ho la classe dei più piccini, molti dei quali non hanno mai studiato l’inglese. Mi prendo di coraggio, mi presento alla classe in inglese traducendo allo stesso tempo ogni frase in cinese così da far capire ai bambini quello che stavo dicendo. Dopodiché, vengo lasciata sola nella classe, il preside e gli altri tre volontari, si dirigono nella classe accanto. Che fare? Da dove cominciare?

Per prima cosa, chiedo ai bambini se hanno un nome inglese e la maggior parte mi dice di no.  Ripenso spesso al fatto che sono stata io, come una mamma, a dare dei nomi inglesi a quei bambini, a decidere per loro una cosa così importante. Ogni volta che ci ripenso mi riempie di orgoglio e felicità pensare che probabilmente molti di quei bambini si ricorderanno vagamente di me come di quell’insegnante che ha scelto il loro nome in una lingua straniera, allora completamente sconosciuta.

È così che è iniziata la mia avventura con Judy, Sally, Lizzie, Jack, Annie, Anna, Milly, Jacob, Lisa, Danny, Jane, Shirley, Will e Jerry. I giorni passavano ed insieme abbiamo studiato, giocato, cantato e ballato. Ho conosciuto le loro famiglie, le loro storie, le loro paure e i loro sogni. Li ho visti ridere, litigare e piangere il giorno in cui me ne sono andata. Da me, hanno imparato qualche parola d’inglese, come presentarsi ed esprimersi con un linguaggio elementare, e ad indicare diverse nazioni sulla cartina geografica; io, invece, da loro sento di aver imparato molto di più.

Sono stati soprattutto loro a rendere la mia esperienza di volontariato a Shanghai la più stimolante ed impegnativa esperienza della mia vita. Essendo solo dei bambini, con loro non avevo paura di parlare cinese, non mi sentivo giudicata e perciò le mie capacità espositive sono incredibilmente migliorate. Ma oltre a ciò, loro mi hanno aiutata a crescere, maturare e a sentirmi adulta. Per la prima volta nella mia vita, non ero più io la studentessa, ero invece una guida, avevo delle responsabilità importanti e dovevo prendermi cura di loro. Dalla mattina fino al pomeriggio alle 5, quando gli ultimi bambini venivano prelevati dai loro genitori, io ero il loro punto di riferimento.

Sono stati loro a farmi aprire ancora di più gli occhi sul mondo. A farmi capire che nel ventunesimo secolo ci sono ancora bambini che non conoscono la loro età, la loro data di nascita oppure dove si trovi il loro paese; in classe mia erano in molti a non sapere queste cose. È stata Sally a farmi rendere conto che nel mondo ci sono bambine il cui sogno è quello di fare le donne delle pulizie e non le cantanti come la maggior parte delle loro coetanee; e sono stati loro a riempirmi ogni giorno di complimenti dicendomi che ero più bella di loro perché ho gli occhi verdi e non neri, la pelle bianca e perché non ho il naso schiacciato. Tutte queste cose mi hanno fatto capire quanto sia importante l’educazione per superare stereotipi e pregiudizi.

Una delle verità che ho tratto da questa esperienza è che non si finisce mai di conoscere e di imparare. In Cina ci ero già stata quattro volte. Prima di questa esperienza di volontariato, mi ero convinta di conoscerla bene, ma mi sbagliavo. Io avevo sperimentato un’altra Cina. Quella vera, con i suoi valori millenari, l’ho conosciuta solo quest’estate soprattutto grazie a 14 bambini, al preside e al guardiano della scuola.

Il preside spesso mi parlava dell’importanza della nostra esperienza da volontari lì. Vivere ed adattarsi a condizioni di vita precarie, confrontarsi con una cultura diversa e mettersi alla prova insegnando a dei bambini delle elementari, ci avrebbe reso dei cittadini migliori, degli uomini e delle donne più forti e consapevoli e ci avrebbe dato la consapevolezza di poter affrontare qualsiasi ostacolo nella vita; questo era quello che mi diceva, mentre accendeva il fuoco con il carbone e la legna per riscaldare il pentolone nel quale ci avrebbe cucinato la cena. Mi ripeteva che una volta tornata in Europa avrei apprezzato di più quello che avevo e più in generale, la mia vita. Perciò fin dall’inizio ero consapevole che nonostante io fossi lì per aiutare dei bambini poveri, loro, senza saperlo, mi avrebbero dato altrettanto. Infatti, anche se nel mio piccolo ho contribuito all’educazione di quei bambini, loro hanno arricchito la mia e per questo sarò loro sempre grata.

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